IL BORGO ANTICO DI ACERENZA
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“Il nido d’aquila dell’alta Acerenza”
Una città fortezza evocata dal poeta Orazio nelle sue odi. Un baluardo che ha resistito agli assalti bizantini ed è stato un fiore all’occhiello delle difese militari dell’Italia longobarda. Una gigantesca cattedrale romanica nella Basilicata del Nord incastonata tra le mura di una città medioevale. Così si può riassumere Acerenza.
Il nido d’aquila dell'alta Acerenza”: così il poeta latino Orazio descriveva una delle più belle cittadine dell’Alto Bradano, arroccata con fierezza su uno zoccolo di tufo ad oltre ottocento metri sul livello del mare. Questa posizione strategica è stata, per secoli, croce e delizia di questo paese, conteso da Longobardi e Bizantini, conquistato dai Normanni, posseduto dagli Svevi, dagli Angioini e infine dagli Aragonesi. La sua Diocesi è una delle più antiche dell’Italia meridionale: qui soggiornò in qualità di arcivescovo Arnaldo, già abate di Cluny, in Francia, che sognava per Acerenza una cattedrale maestosa, capace di dominare le valli, e per questo architetti francesi e maestranze lucane ultimarono la chiesa, rendendola così bella da togliere il fiato, così misteriosa da incantare.
Si possono passare ore, a girare intorno alla Cattedrale di Acerenza, a tentare di guardare negli occhi le figure antropomorfe, gli strani animali che entrano nella pietra e la rendono viva, o a scoprire la storia del patrono San Canio, condannato a morte durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano. Si narra che il boia ed i soldati furono spaventati da un violento nubifragio, accompagnato da terremoti, che si scatenò quando il santo stava per essere decapitato, dandogli così modo di fuggire e di approdare nei pressi del Volturno. Ancora oggi il pastorale di San Canio, ritenuto miracoloso, è conservato nella Cattedrale, ed è venerato da numerosi fedeli.
Questa città è un piccolo miracolo di contaminazione: è un pezzo di Irlanda portato a Sud, un frammento di Francia scolpito nell'arenaria, una vaga impressione nordica che cattura l’attenzione, quando gli occhi azzurri di qualche silenzioso anziano ti guardano senza filtri. Se questa città fosse un colore, sarebbe come il rubino dell'Aglianico del Vulture, e avrebbe il suono ritmico dei passi delle processioni e del suo rinomato Corteo Storico. Se Acerenza fosse un sapore, sarebbe semplice come quello dei maccheroni fatti con le dita, e antico come quello dell'olio che scivola lento sul pane di grano duro. Se Acerenza fosse una donna, sarebbe bella ed austera, sarebbe femminile senza bisogno di orpelli, sarebbe avvinghiata a se stessa come i mostri che si arrampicano alla sua Cattedrale.