Domus romana a Banzi
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Domus romana – Banzi
L’attuale Banzi si sviluppa sullo stesso pianoro occupato dal centro daunio che al confine tra Apulia e Lucania, controllava la media valle del fiume Bradano. Nel 2004 si è dato inizio a una campagna di scavi in località Orto dei Monaci, area adiacente all’Abbazia si S. Maria. L’indagine tuttora in corso scaturisce da un progetto del comune in accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici di valorizzazione dell’area destinata a parco archeologico.Sono stati individuati i resti di una Domus e di una struttura termale impiantate intorno al I secolo a.C. sul precedente abitato daunio e successivamente ampliate e unificate nel corso del I-II secolo d.C. Alla metà degli anni 60 l’interesse per questo centro fu sollecitato dal ritrovamento dei resti di un templum augurale di età tardo repubblicana. Le campagne di scavo che si effettuarono tra gli anni 60-70 confermarono l’ipotesi che l’impianto del complesso altomedievale era stato scelto il cuore stesso della città romana. Le indagini condotte nelle località Mancamasone, Fontana dei Monaci, Pezza la Rena, Montelupino, Piano Carbone, hanno confermato per la Banzi preromana un modello abitativo per nuclei sparsi. Secondo l’uso daunio, l’insediamento è organizzato in gruppi di abitati alternati a spazi liberi, destinati all’allevamento, alle coltivazioni e alle necropoli che dall’età arcaica (VII – VI secolo a.C) fino all’occupazione romana (III secolo a.C.), si distribuiscono su tutto il pianoro. Gli scavi attualmente in corso preso l’Orto dei Monaci ha permesso di mettere in luce parte dell’abitato daunio con la restituzione di ceramica sub geometrica monocroma e bicroma e parte dell’abitato di III – I secolo a.C. successivamente obliterato da una Domus di età tardo repubblicana – imperiale.
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Reperti archeologici:le ceramiche
Le classiche ceramiche maggiormente attestate sono la ceramica a vernice nera, la ceramica a pasta grigia, la terra sigillata e soprattutto la ceramica comune. Pochissimi i frammenti di ceramica a figure rosse e ceramica tipo gnathia. La ceramica a vernice nera è documentata nei contesti statigrafici dello scavo pertinenti le fasi che precedono l’edificazione della domus. Prevalgono le forme aperte su quelle chiuse, in particolare patere e coppe che riproducono pedissequamente forme e profili delle produzioni attiche e magno greche databili tra IV secolo e II secolo a.C.. La ceramica a pasta grigia è documentata da moltissime lucerne, alcuni piatti e numerosi frammenti e riconducibili a forme aperte. Più cospicui invece i rinvenimenti in ceramica di terra sigillata. L’analisi preliminare ha consentito di identificare frammenti riconducibili a terra sigillata orientale africana e italica, con un netto prevalere di quest’ultima. La terra sigillata italica è una ceramica fine da mensa a superficie brillante rossa o arancio, prodotta in Italia tra la metà del I secolo a.C. e il I secolo d.C.. Il più importante luogo di produzione fu Arezzo, mentre altre officine sorgevano a Pozzuoli, a Roma e nell’Italia Settentrionale. I bolli in “planta pedis”rinvenuti, riconducono per lo più a produzioni aretine comunemente attestate nel territorio venosino. La ceramica di uso comune è senza dubbio la tipologia maggiormente documentata tra i materiali ceramici:la “comune depurata”, caratterizzata da una fattura accurata e da un impasto più fine, destinata alla conservazione e al consumo dei cibi; la “comune grezza” adoperata prevalentemente per la cottura. Si annoverano numerosi frammenti riconducibili a grandi contenitori e ad anfore, rinvenuti negli strati pertinenti l’abitato di III –I secolo a.C. e nella domus nell’ambiente 29 (foto della domus) che probabilmente fungeva d a retrobottega e magazzino. Oggetti per la toeletta e ornamento personale Un esiguo gruppo di reperti consente di accostarci al “mundus muliebris” non attraverso le attività quotidiane svoltye dalle donne ma in ottica diversa, quella cioè degli oggetti che venivano scelti per completare e impreziosire l’abbigliamento o utilizzati per migliorare l’aspetto. Si annoverano fibule in bronzo dorato, anelli, frammenti di bracciali e orecchini e numerosi aghi crinali in osso proveniente soprattutto dall’area termale e adoperati dalle donne per fermare le acconciature. Questi ultimi presentano lunghezze e caratteristiche differenti, hanno per lo più uno stelo a sezione circolare, spesso con maggiore diametro nella parte centrale, talora ingrossata. Le capocchie semplici o incise sono globulari, olivari o piriformi e in alcuni esemplari presentano una serie di incisioni nel punto di giunzione con lo stelo.
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Corredi tombali nel Museo di Melfi
Si annovera anche un modesto numero di oggetti da toeletta:uno specchio, un vasetto in bronzo, una serratura in bronzo di forma quadrangolare che indizia la presenza di contenitori e cofanetti lignei per cosmetici, bastoncini in vetro colorato adoperati probabilmente per mescolare o applicare cosmetici o profumi, oppure come elementi per le acconciature, unguentari in terracotta e in vetro (questi ultimi solo in frammenti) adoperati per contenere unguenti profumati. In particolare si annovera un prezioso e raffinato unguentario in alabastro ed elettro, rinvenuto nelle terme. Uno dei principali nuclei abitativi è stato individuato in contrada Piano Carbone, a Sud Ovest dell’abitato moderno. Qui è stata esplorata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata un’ampia necropoli. Le sepolture venivano praticate nel terreno in forma di fosse rettangolari foderate e ricoperte da lastroni di arenaria o calcare. All’interno della tomba, accanto al defunto, veniva collocato il corredo funerario composto da elementi decorativi del corpo e delle vesti (fibule, armille, anelli) ed elementi pertinenti alla sfera della propria specifica attività (le armi per l’uomo e la fusaiola e i pesi da telaio per la donna). Veniva, quindi deposta la ceramica da accompagno ed i vasi a carattere rituale come l’olla o il cratere e l’attingitoio posto al suo interno. Alcune sepolture si distinguono per la loro ricchezze:il corredo di una tomba (IV secolo a.C.) presenta un servizio per il simposio costituito da un cratere figurato,le “kilikes” per bere, le “oinochoai” per versare, mentre il candelabro e le lucerne servivano per illuminare il banchetto notturno ambientato nell’oltretomba. Lo strigile in bronzo, strumento per detergere il corpo degli atleti, allude alla sfera della palestra. Il complesso sistema delle armi comprende quelle da difesa, come cinturone, paracaviglie, scudo ed elmo da offesa, a cui appartengono le spade e le lance. I morsi equini presenti nel corredo attestano che il guerriero nella tomba è anche un cavaliere. I reperti in esposizione fanno parte della cosiddetta “raccolta comunale di Banzi”. Si tratta di materiali rinvenuti sporadicamente, riconducibili per lo più a corredi tombali, e attualmente custoditi presso il museo Archeologico Nazionale di Melfi, in cui è inoltre possibile ammirare corredi di eccezionale ricchezza rinvenuti in territorio bantino.
Documenti e materiale proveniente dalla mostra “Banzi: museo all’aperto” curata dalla Dott. Sodo e organizzata dal Comune e dalla proloco Amici di Ursone.
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Come raggiungere l’itinerario
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