Pietragalla: tra architettura rupestre ed archeologia rurale
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Partiamo dal titolo. Perchè “rurale”?
Rurale è una parola non troppo amata. Da’ troppo l’idea di campagna, di qualcosa di “grezzo” e semplice. Non rilevante da un punto di vista culturale. Certo, l’architettura rurale non può essere paragonata a quella del Rinascimento. Non può essere paragonata a livello di bellezza perchè sono due cose differenti, nate per scopi differenti. Tutto quello che attiene alle opere “rurali” è nato esclusivamente per motivi specifici, per lavoro e cercando di sfruttare il territorio nel miglior modo possibile. Solo ultimamente è stato riconosciuto il valore del “rurale” perchè sono cambiati i canoni della bellezza. Però alcune volte sono state realizzate cose oggettivamente belle (come i Palmenti) ed alcune volte solo funzionali (come alcune grotte per la stabulazione degli animali). Ma è innegabile che dietro il patrimonio rurale c’è una enorme conoscenza del territorio, dell’ambiente e del lavoro…e quindi possiamo parlare comunque di cultura. L’etimologia della parola è antichissima e deriva da “campo lavorato”, quell’elemento che ha permesso all’uomo di passare da vita nomade a quella di comunità. Quindi quando sentiamo parlare di qualcosa di “rurale” non pensiamo che sia solo qualcosa di campagnolo (anche se la società ce lo ha fatto credere) altrimenti tanto vale dire che gli smeraldi sono solo dei sassi…
Raccontare un territorio
Quando si vuole raccontare un territorio e/o soprattutto un particolare paesaggio, è essenziale considerare i diversi elementi che lo caratterizzano. È importante studiare gli aspetti naturalistici, geologici, archeologici, storici, socio-economici non come entità a se stanti ma come un unicum; bisogna raccontare un territorio attraverso le connessioni esistenti tra questi aspetti. Infatti, per definizione il paesaggio “…designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle persone, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. E quando ammiriamo i diversi paesaggi della Basilicata (ma è bene dire di quasi tutta l’Italia) non si può non parlare anche della vita delle persone che ci hanno vissuto e che li hanno “modellati”. Per raccontare la storia del 90% dei paesi lucani bisogna raccontare le gesta dei suoi contadini, i quali hanno cercato di trarre vantaggio dall’aspra terra in cui erano capitati. L’esempio più importante è Matera. Matera è una bellezza contadina, è una bellezza rurale. Le grotte, gli affreschi, le case e tutto il resto “trasudano” uns semplicità… difficile e dura certo… affascinante.
Pietragalla non fa eccezione.
Sud Italia → Basilicata → Potenza → Pietragalla
Pietragalla, è un piccolo paese di collina (il punto più alto è posto ad 839metri sul livello del mare) del Sud Italia. È posizionato nell’area interna della Basilicata sulla parte che degrada ad oriente dell’Appennino Lucano. Infatti se ad ovest la visuale è quasi totalmente occlusa dai rilievi appenninici che via via si fanno più alti, a levante è possibile spaziare verso le colline della Fossa Bradanica fino alle murge pugliesi. Questo ha comportato anche una differenza nell’uso del territorio (agricoltura) proprio per le differenti caratteristiche climatiche e geologiche presenti sui due versanti su cui è adagiato il paese.
[Ecco Pietragalla su Google Maps https://goo.gl/maps/6d6TpwGX39TBgvvi8]
Sul nome ci sono diverse teorie. Forse troppe … nessuna con fonte certa e che in alcuni casi si rifanno ad intuizioni oppure a convinzioni dei vari autori. Io per raccontare Pietragalla userò due diverse teorie che a quanto pare sono quelle meno fondate… meno fondate da un punto di vista storico/etimologico ma che aiutano molto a raccontare gli aspetti più belli del territorio pietragallese…
[chi vuole approfondire gli aspetti etimologici in modo dettagliato, fate riferimento al primo libro citato a fine articolo]
Consapevoli di quanto scritto, partiamo dal più comune e che ci insegnavano anche alle scuole elementari: Pietra_Galla = Pietra Gialla. Beh, se si va in giro nel centro storico, toccando le case più vecchie e meno nobili, se si visitano le zone più caratteristiche del paese (Palmenti e Cantine) e si va a passeggiare lungo i sentieri che attraversano alcune parti del territorio, si può apprezzare un po’ ovunque questa “Pietra Gialla”. Comunemente (ma non corretto da un punto di vista geologico) viene chiamata tufo ma si tratta di un mix di arenarie & company (spero di non attirare l’ira dei geologi).
[Il tufo è una roccia di origine vulcanica, l’arenaria invece no; ma è comune nel sud italia chiamare con il nome “tufo” tutte le rocce non molto dure e con una facile lavorabilità. Consapevoli di questa differenza, potete chiamarle nel modo che vi è più simpatico].
Questa roccia è molto importante perchè la sua presenza ha determinato ed influenzato l’azione ed il comportamento della popolazione pietragallese in passato [questo concetto può essere traslato a moltissimi paesi e città]. Infatti alcune caratteristiche ed elementi tipici del paesaggio rurale pietragallese sono legati proprio a questa roccia. Ed è molto importante, secondo me, evidenziare questa questione. Esagerando e semplificando, se Pietragalla fosse piena di marmo, avremmo avuto altro ma difficilmente i nostri avi avrebbero realizzato i Palmenti!
Ecco il punto di forza di Pietragalla: i Palmenti
I Palmenti sono sicuramente l’elemento scenico più importante e famoso di Pietragalla. Aggiungerei anche che è un unicum nel panorama lucano e forse in Italia (almeno in questa forma). Classici esempi di archeologia rurale ormai in disuso. Queste piccole costruzioni, che ad un primo sguardo possono sembrare delle piccole abitazioni/grotte (infatti sembra davvero un piccolo villaggio) in realtà rappresentavano il fulcro della vità lavorativa e sociale del pietragallese medio fino a 50/60 anni fa. Il loro scopo era legato alla produzione di vino; infatti qui avvenivano le prime lavorazioni e la fermentazione delle uve che provenivano dalle vigne sparse per il territorio. Ora ne sono rimasti poco più di 60 e quasi tutti localizzati presso il Parco Urbano dei Palmenti all’entrata est del paese, ma è possibile trovarne alcuni sparsi qua e nelle campagne circostanti. In passato ne erano sicuramente di più a dimostrazione di una fiorente attività vitivinicola che ormai è andata persa insieme alla maggior parte dei vigneti [ma questa è un’altra storia molto articolata che vi racconterò in un altro articolo in quanto è in corso un lavoro scientifico]. Durante il periodo della vendemmia, un via vai di gente, asini e giumente si inerpicavano tra i vicoletti di questo mini-paese, chiacchierando, sparlando e cantando. Ma soprattutto lavorando.
Ecco alcune foto.
PH_Giuseppe Cillis
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Ma come funzionavano questi palmenti? Prima di tutto non sono collocati a caso ma ci sono due motivi sul perchè si troviamo proprio li. Bisogna sempre ricordare che i palmenti servivano per far fermentare il mosto e questo processo non è nient’altro che una reazione chimica realizzata da esseri viventi (lieviti) che lavorano bene soprattutto a specifiche temperature. Temperature sicuramente superiori alle medie del periodo della vendemmia. Per raggiungerle (>20°C), siccome non c’erano i riscaldamenti, l’unico modo era quello di inventarsi qualcosa. Per cui, siccome sicuramente avevano già sperimentato le proprietà isolanti della roccia, un’idea poteva essere proprio quella di utilizzare quella affiorante; la quale a Pietragalla non mancava (e non manca). La seconda questione era quello di “aumentare” la temperatura all’interno di queste vasche… come fare? Beh semplice, sfruttare la fonte di calore più grande ed a buon mercato che c’è, ovvero il Sole! Si ma come ? Andando scegliere un banco roccioso dove realizzare i palmenti in modo tale da sfruttare l’orientamento Sud / Sud-Est (che garantisce il massimo afflusso di energia solare nel corso della giornata). Inoltre anche gli ingressi sono tutti rivolti verso il medesimo orientamento.
Sostenibilità energetica
Ed ecco perchè all’ingresso est di Pietragalla possiamo ammirare queste eno-costruzioni. Inoltre, il nome di questa zona era, in passato, Contrada Tofi. A testimonianza dell’ abbondante quantità di “tufo” nella zona.
La loro storia ed evoluzione è interessante e ricca di contaminazioni ma per evitare di dilungarmi troppo andrò direttamente ad illustrare la loro struttura ed altri aspetti generali [per approfondimenti storici ed anche su altri aspetti, consiglio il libro di Vincenzo D’Angelo — Pietragalla e i palmenti Patrimonio di archeologia rurale — Edizioni Paideia Firenze ed il sito https://lnx.altobradano.it/palmenti-di-pietragalla/].
Internamente come sono fatti? C’è un motivo per la disposizione di queste vasche? C’è un unicum costruttivo?
Una serie di vasche comunicanti scavate interamente a mano in quest’arenaria (quarzoarenite, quindi molto dura) e che variano in forma e dimensione in base alle esigenze dei proprietari oppure in relazione alla morfologia originale della roccia scelta. La prima vasca aveva lo scopo di raccogliere le uve per pigiarle. Generalmente è posta prossima all’ingresso ed in posizione comoda per svolgere questa tipologia di azione. Questa è collegata ad una o più vasche poste “in fondo” al palmento ed in genere ribassate rispetto al piano di calpestio (quindi quasi sottoterra) così da creare un ambiente il più isolato possibile e con condizioni costanti, fattore fondamentale per la produzione di buon vino. Ovviamente c’era la possibilità di chiudere e sigillare le vasche per evitare contaminazioni. Questa è la struttura base e che ho semplificato perchè davvero ogni palmento possiede delle caratteristiche peculiari date anche dall’abilità dei diversi artigiani o dagli accorgimenti messi in atto dai proprietari per migliorare determinati aspetti in base all’esperienza accumulata.
Infine c’è l’architettura esterna. Molto semplice e realizzata con materiale di risulta degli scavi dei palmenti o utilizzando altre tipologie di pietre (generalmente ancora più dure) ed una malta molto leggera. Ci sono alcune tesi di laurea sull’argomento e sicuramente in futuro ci sarà modo di approfondirle. Ma oltre alla loro magnifica efficienza ed ingegnosità, erano anche un grandissimo catalizzatore di interazioni sociali in quanto, in pochi giorni, riuscivano a far incontrare, parlare, abbracciarsi, ridere e cantare, molte persone che si incontravano raramente durante l’anno in quanto la maggior parte della popolazione pietragallese viveva in campagna. Un grandissimo aggregatore secondo solo alla festività del santo patrono (San Teodosio). Sarebbe bello raccogliere tutte le storie ed avvenimenti per raccontare il “fermento” (passatemi la battuta) di quei giorni!
Per attirare l’ira dei tradizionalisti, ecco un ultimo aspetto. Per gli appassionati di fantasy e di cinema, se si guardano i Palmenti da lontano, sembra di essere ad Hobbiville del Signore degli Anelli in versione più rustica. È chiaro, non è una definizione storica esatta, ma per raccontare e stimolare la fantasia delle persone, queste metafore devono essere ben accette; anche perchè non c’è pericolo che si trasformi in un’attrazione turistica per cinefili. Sicuramente qualche dettaglio importante mi è sfuggito, ma non è un problema, avete una scusa in più per venire a visitarli… !
E dopo la fermentazione? Il vino dove veniva trasportato per le ultime fasi della vinificazione?
Dal mosto al vino
Ed ecco che ritorna la nostra magica Pietra Gialla. Ma questa volta la “pietra” utilizzata è quella che affiorava o sulla quale erano costruite le abitazioni del centro storico. Infatti, dopo la fermentazione, il vino veniva trasportato fino alla parte alta del paese in cui erano (e sono) presenti le Cantine, in pietragallese dette “Rutte”. Perchè realizzare queste cantine così lontane dai Palmenti? Non era più comodo realizzarle più vicine considerando che la pietra non mancava? Beh il motivo c’era ed era di natura tecnica.
Partiamo dallo scopo della Cantina, ovvero quello di conservare ed affinare il vino. Ora per conservare qualsiasi prodotto, in genere, cerchiamo luoghi in cui si possono realizzare determinate condizioni e che si possano mantenere più o meno costanti nel tempo. Per cui, i contadini , avevano la necessità di trovare questo luogo per conservare il vino. Potevano utilizzare parte dei Palmenti? Mmm non erano adeguati. Erano si isolati termicamente ma ricordiamo che erano esposti a Sud Est e siccome il vino si deve conservare anche in estate…beh non erano nel posto migliore per questa fase. Ed allora qual è il motivo? Il segreto è custodito (anche) nel nome di questa parte del paese, ovvero Mancosa (ora Via Mancosa). C’ho ragionato molto (ma sicuramente ci sarà qualcuno che lo ha fatto prima di me) ed ecco il risultato:
Mancosa porta con se’ la parola “manca” … cosa significa manca?
Il detto “a destra e a manca” vi dice qualcosa?
Manca è la sinistra… e sapete cosa c’è nella parte sinistra dei una qualsiasi cartina geografica?
Ci sta l’ovest, dove tramonta il sole.
E sapete qual è l’esposizione (chi ha una casa dovrebbe saperlo) in cui arriva meno sole durante il giorno e che quindi garantisce più fresco soprattutto durante l’estate?
Esposizione Nord-Ovest….
Ecco spiegato perchè le cantine sono poste sul lato esposto a Nord-Ovest del centro storico!
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Ancora una volta i contadini di un tempo hanno dimostrato di avere un ingegno, uno spirito di osservazione ed adattamento invidiabile considerando il contesto sociale in cui vivevano. Dalle campagne e della aree interne e marginali d’Italia non saranno venuti fuori dei Leonardo Da Vinci, ma di certo non erano meno ingegnosi!!
Questa cosa è fantastica secondo me. Le due fasi della vinificazione che avvenivano attraverso il “controllo” di due elementi naturali: la nuda roccia ed il sole… quasi un rito pagano. Meraviglioso!!
Ma c’è di più. Questa cantine, sono davvero delle grotte (artificiali) che sembrano portarci verso il centro delle terra in quanto, in alcuni casi, non è possibile vederne la fine. Non ho la presunzione di spiegare la statica e l’ingegneria che ci sta dietro la realizzazione (anche perchè ci sono poche fonti) ma vi assicuro che in futuro dedicherò un articolo solo a queste costruzioni fantastiche chiedendo a chi ne sa più di me.
Dovete immaginare la parte alta del centro storico come una piccola collineta delimitata da una strada che la circonda completamente e che nella parte a Nord-Est è stata “perforata” (soprattutto da un lato) dall’uomo per creare queste strutture che proseguono sottoterra e verso il centro di questa zona sopraelevata [forse ci sarà una metafora migliore per spiegarla ma al momento è l’unica che mi viene in mente].
Ce ne sono tantissime, non si finisce mai di contarle. Una dopo l’altra riempiono Via Mancosa e i suoi vicoli con le loro immense porte di legno ormai marcescente. Un dedalo sotterraneo di tunnel che molte volte ha solleticato la fantasia di molti. Infatti sono tantissime le storie e le leggende che gli anziani raccontano.
Per semplificare (solo per brevità), queste cantine sono, appunto, dei lunghi tunnel sotterranei. La maggior parte presentano degli scalini (con una alzata e pedata fuori norma attuale) e che permettono di andare giù anche di 3/4 metri. Una volta giunti sul fondo, una cosa noterete subito, ovvero il cambio drastico di temperatura. Caldo in inverno, freddo in estate. Anche un po’ di umidità eccessiva data dal fatto che ormai la maggior parte sono in disuso. Inoltre potrete ammirare la meravigliosa architettura e “geologia” e vi chiederete: ma come hanno fatto a realizzarle?? Me lo chiedo anche io perchè davvero è una cosa incredibile e purtroppo ci sono poche fonti riguardo l’epoca e le tecniche di realizzazione. [Questo video tecnico può essere interessante per alcuni addetti ai lavori]
Come in tutte le cantine, ovviamente ci sono le botti. Botti che erano realizzate direttamente all’interno per questioni logistiche e con legno locale (maggiormente di Roverella; una specie di quercia). Tranne per le famiglie ricche che le acquistavano spesso dal nord Italia. Tantissime botti a destra e sinistra e spesso non si riesce nemmeno a contarle tutte. Per farlo in alcuni casi bisogna percorrere l’intera cantina perchè sono talmente lunghe da avere anche curve o rientranze. Forse le foto rendono più delle parole.
Per non parlare delle storie, delle vicende e delle leggende che ogni famiglia può raccontare…
Ulteriori approfondimenti sul parco delle Cantine di Pietragalla clicca qui >>
Un’altra sfumatura del “giallo” pietragallese
Ora, continuiamo questo giro alla scoperta della Pietra Gialla, usciamo un attimo dal centro storico e facciamo una passeggiata nella zona del Torrente Rosso.
Scendendo verso Località Abate [https://goo.gl/maps/m3TMdyXAk7nmAd3s8], prima delle ultime curve, noteremo sul versante di fronte a noi, un buco nero, una grotta che sembra enorme. Quando ero piccolo e andavo in campagna di mio nonno, ogni volta che ci passavo, immaginavo qualcosa. Pensavo fosse la tana di un animale, poi la grotta di Batman e poi il passaggio verso un’altra dimensione. Ma, quando sono diventato più grande (anagraficamente), ho chiesto a mio nonno cosa fosse quel buco nero… e lui mi ha risposto con un : <<Forza, ti porto a vederla!>>.
Cos’è questa grotta? Niente di misterioso, ma un posto simbolo di un passato arcaico, un passato inimmaginabile ora. Si tratta di un enorme buco scavato in un banco di arenaria molto friabile (non la stessa dei palmenti e delle cantine); lungo una 15ina di metri ed alta 5/6 metri (anche se adesso in parte il soffitto è crollato), che veniva usato dai pastori per le stabulazione stagionale e/o temporanea degli animali (ed anche come riparo per persone in caso di intemperie o per riposare). Un altro esempio fantastico di architettura ed archeologia rurale che è possibile trovare quasi ovunque in Basilicata con forme e dimensioni diversissime.
Quindi niente Batman ma vi assicuro che i pipistrelli c’erano eccome [come noterete in una foto]!!!!!
PH_Giuseppe CIllis (cliccare sulle foto per ingrandire)
Questa come altre in giro in agro di Pietragalla, sono molto semplici ma davvero di forte impatto. Alcune crollate, alcune introvabili a causa della vegetazione, alcune di difficile accesso perchè poco sicure. Ma ne ho trovate altre tre, sempre lungo il Torrente Rosso andando verso la Diga di Acerenza (in località “Disc la Rutt” in pietragallese). Più piccole ma più graziose perchè sembrano delle vere e proprie abitazioni… o meglio, sembrano perchè lo erano davvero, infatti qualcuno ci viveva veramente in queste grotte. Ed infatti si possono vedere anche i segni di un arredamento tipico nonchè il nome del proprietario sull’ingresso.
Nome omen parte seconda
Ora, per passare al secondo significato del nome Pietragalla, mi avvalgo di quello che viene riportato in una vecchia guida del Touring Club: Petreguallo dal medioevale gualdus = bosco … quindi Pietra & Bosco. Non so’ quanto possa essere vero ma non è molto importante [purtroppo quando non ci sono fonti certe, molte cose sono ipotetiche]. Perchè andando in giro per boschi, non si può che non ammirare, qui e la, queste immense “pietre” che spuntano dalle foreste pietragallesi e che spesso sono state anche usate per diversi scopi. Geologicamente sono affini a quelle dei Palmenti e Cantine [spero che i geologi non mi maledicano!!]. Alcune di queste sono famose e le sono state date un nome come ad esempio “la Murgia d’ lu paret” e “la Murgia della Madonna” (anche se è nel comune di Cancellara per poche decine di metri). Ma ce ne sono anche altre. Come ad esempio la Murgia di Lanzi, poco estesa in altezza ma molto in superficie. Alcuni di questi banchi rocciosi molto duri, sono stati “smantellati” per realizzare le abitazioni rurali e spesso anche le case in paese. Siccome non sono molto ferrato in geologia, farò parlare le immagini. Vi assicuro che alcune sono davvero enormi. la più suggestiva (la murgia della Madonna), viene chiamata così perchè di profilo sembra davvero una Madonna.
Murgia d Lu Paret. PH_Giuseppe Cillis
Tutti questi “siti” potrebbero (e dovrebbero in quanto, se non ricordo male, c’è già qualche studio in atto) a pieno diritto rientrare nella lista dei “geositi”, ovvero “…località area o territorio in cui è possibile individuare un interesse geologico o geomorfologico per la conservazione”. Un ulteriore riconoscimento che però deve essere sfruttato ai fini turistici.
Infine, anche la storia antica di Pietragalla è fondata su questa roccia. Infatti le mura di Monte Torretta [è ripartito da 3 anni uno studio che vede la partecipazione di diverse università europee Pietragalla Project] e di Casalaspro [ahimè con pochissimi riferimenti storici e senza nessuno studio di dettaglio se non bibliografico] sono state ricavate andando a realizzare questi grossi blocchi di arenaria molto dura che è stata recuperata qua e la da queste “pietre nel bosco” presenti sul territorio … ma questa è un’altra storia.
Per cui, la storia e le tradizioni di Pietragalla (e quindi del suo patrimonio culturale) si basa su due elementi fondamentali e fortemente interconnessi, ovvero la “pietra” e la ruralità. Questi siti di interesse culturale sono il risultato del modellamento di un elemento naturale che è stato utilizzato per vivere e per sfruttare al meglio i frutti del durissimo lavoro delle campagne. Ma Pietragalla ha anche un particolarissimo centro storico a raggiera, un magnifico Palazzo Ducale affrescato, dei paesaggi forestali suggestivi, un sito archeologico tutto da scoprire ed un storia di brigantaggio molto intensa e peculiare… ma non vi annoierò oltre… così avrete una buona scusa per fare visita a questo piccolo paese lucano e scoprire tutto il resto di persona!
Nell’attesa, se non sono riuscito ancora a convincervi, ecco le “10 cose da fare a Pietragalla” consigliate da Alessia e Gabriele https://www.overthemoon.it/2016/06/dieci-cose-da-fare-e-vedere-pietragalla.html
Questo è il mio racconto. Vi aspettiamo cosicchè possiate ascoltare, vedere, annusare, toccare e vivere questo piccolo paese lucano.
Giuseppe Cillis
ASPETTI FINALI
Questo articolo non è una pubblicazione scientifica o storica per cui ho cercato di semplificare molti aspetti senza entrare troppo nel dettaglio altrimenti sarebbe risultato estremante pesante e non adatto ad una fruizione com’è quella via web. Ci sono molti aspetti storiografici che ho tralasciato volutamente ma che se volete potete approfondire dai testi sotto riportati.
Palmenti ed altri elementi della storia di Pietragalla:
- Vincenzo D’Angelo — Pietragalla e i palmenti Patrimonio di archeologia rurale — Edizioni Paideia Firenze.
Per ulteriori approndimenti:
- Teo da Pietragalla, Pietragalla, Alfagrafica Volonnino, Lavello, 1991.
- Padre Antonio Grillo, Terrae Pietragallae, Il Borghetto, Rionero in Vulture, 1998, p.10.
Non ci sono molte fonti o studi specifici, se non qualche libro (quello sopra enunciato è un ottimo trattato storiografico su Pietragalla con molti riferimenti e foto) e tesi di laurea. Se qualcuno ha da segnalare dei nuovi studi è ben accetto (soprattutto quelli geologici).
Spesso si fa (e facciamo) confusione oppure ci sono troppe cose in contraddizione [soprattutto se si leggono dai siti turistici ufficiali delle Regione Basilicata]. L’unica cosa che ogni pietragallese potrebbe fare, fino a quando non ci saranno studi specifici ad hoc sui diversi aspetti (come si sta facendo per Monte Torretta) ed una riorganizzazione finale di tutto il materiale presente sui diversi libri , è quella di raccogliere i racconti degli anziani, che prima che sia troppo tardi, andrebbero recuperati interamente e prima ancora delle strutture stesse.