Sito archeologico Monte Torretta
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Sito Archeologico di Monte Torretta
Si tratta di un sito archeologico di notevole valore risalente al VI – IV secolo a.C. Abbastanza esteso e interessante esso conserva un patrimonio ancora tutto da scoprire. Monte Torretta (1074 m.s.l.m.) raggiungibile in automobile lungo il tratto SS 169 fino in localita’ San Nicola di Pietragalla per proseguire lungo la Potenza – Melfi uscita San Giorgio di Pietragalla. Il sito archeologico di Monte Torretta è distante dal centro pietragallese circa 15 Km.Torretta di Pietragalla, con Serra di Vaglio, sarà una munita roccaforte e quindi centro fortificato per il controllo del territorio e centro di avvistamento per la sua posizione strategica e nello stesso dominante.
L'insediamento è già un centro indigeno del V - IV secolo A.C. ed è costituito da due cinte murarie, una esterna costruita con enormi blocchi di pietra, aventi uno sviluppo longitudinale di quasi 4 Km mentre nella parte alta vi è una seconda cinta ad opera quadrata in cui è sita l'acropoli. Importanti ritrovamenti nell'abitato hanno messo in luce resti di un tempio, alcune tombe e statuette femminili (il materiale è custodito presso il museo provinciale di Potenza). Si riscontra la presenza di grandi depositi di acqua a cielo aperto, utilizzati per uso agricolo con forma ovale di dimensione pressappoco 20 x 20 metri e profondità di metri 1,50.
Le primissime ricerche sul sito furono condotte dal Duca di Casalaspro proprietario dell’agro di Monte Torretta, non si sa cosa abbia scoperto, forse degli oggetti di bronzo perché Michele Lacava sul suo volume del 1882 “Metaponto”, menziona dei bronzi rinvenuti a Monte Torretta ma non si sa dove siano finiti. A seguito di un rinvenimento straordinario, l’Eracle di Pietragalla insieme ad un’altra statuetta che andrà perduta nel 1956, l’archeologo potentino Ranaldi, lancia una grande campagna di scavi che durerà 10 anni. Ranaldi realizzò, su segnalazione di abitanti del posto, il primo scavo sul sito dove era risaputo affiorassero resti di mura: si concentrò dapprima sul circuito murario superiore, scavò lungo il muro per una lunghezza di 98 metri, mettendo a nudo la fortificazione in tutta la sua altezza di 1.92 metri nei punti meglio conservati. Dopo gli scavi condotti da Ranaldi, il soprintendente di Basilicata Adamesteanu prende le redini delle operazioni in seguito alle quali verrà scoperto uno dei punti di accesso (la porta a cortile) della fortificazione. La cinta muraria, ben visibile, si trova a pochi metri a sud-est dal picco del Monte Torretta ed è formata da quattro filari di blocchi parallelepipedi ben squadrati, lavorati a scalpello, di dimensioni notevoli, di cui il primo, quello di fondazione, sporge con un aggetto di 15 centimetri. Su alcuni di questi blocchi si notano incise lettere greche, probabilmente per la numerazione dei filari.
Non fu possibile a Ranaldi però individuare la porta d’accesso a causa dei crolli, oggi invece ben visibile all’estremità nord-est della cinta. Al di sotto di questo circuito, la scoperta di frammenti fittili, grezzi o dipinti, di suppellettili datati al III secolo a.C., di cocci, frammenti di tegole, embrici e vasellame, fece ipotizzare la presenza di un abitato appena al di fuori delle mura superiori che dunque andavano intese come mura di cinta dell’acropoli, la parte più alta della città. A circa 300 metri sotto le mura di cinta Ranaldi riconobbe degli indizi che facevano pensare ad un’altra area fortificata: così scavando scoprì un secondo circuito murario a 47 centimetri di profondità, e ne seguì il percorso per 25 metri. Due filari di grossi massi ben squadrati, alcuni recanti incise lettere greche, come sopra, per la posa dei blocchi, compongono un secondo più basso circuito murario che doveva cingere l’intero abitato.
L’Eracle pietragallese doveva in origine reggere una clava con la mano destra e con la sinistra afferrare una delle teste dell’Idra. A colpire è soprattutto la resa raffinatissima e molto vivida della leonté sulla testa di Eracle, ma anche sul petto e sulla schiena, dove essa scivola giù lungo i fianchi dell’eroe lasciandone scoperti i glutei. Perfettamente riusciti sono anche i tratti fisionomici, specie all’altezza degli occhi, nonché l’elegante trattamento delle ciocca di capelli, che finiscono per assumere l’aspetto di una treccia. Entrambe le statuette fanno riferimento ad un episodio ben noto delle fatiche di Eracle, la lotta con l’Idra, un mostro serpentiforme che funestava la regione del Peloponneso in Grecia. Quest’ Eracle, analogamente a quello andato perduto, si distingue in modo netto rispetto agli altri Eracle rinvenuti in Basilicata poiché i dettagli fisionomici e anatomici rinviano probabilmente all’artigianato di una colonia magno greca. La datazione più probabile sembra quella del V – IV secolo a.C. Il rinvenimento delle due statuette fa pensare a un contesto sacro tuttavia non si può affermare con certezza l’esistenza di un vero e proprio luogo di culto o di un tempio consacrato ad Eracle.
Il VI secolo a.C. è ben noto a Monte Torretta soprattutto grazie alla presenza di ceramica sub geometrica. Questo tipo di produzione è tipica di diverse aree della Basilicata antica, per tutta l’età arcaica. I vasi erano fabbricati con l’aiuto del torchio lento oppure a mano. Venivano decorati con motivi geometrici stilizzati, molto particolari, usando anche colori vivaci, come il rosso, il rosso-arancio e il rosso violaceo oltre al bruno marrone. Dato lo stato di conservazione, è quasi certo che i materiali di Monte Torretta, compresi fra l’inizio del VI secolo a.C. e l’inizio del secolo successivo, provengano da necropoli. Fra i reperti integri si segnala un askòs , che in greco antico significa “otre di pelle”, una forma singolare che ricorda i recipienti in pelle di animale. Questo vaso veniva utilizzato come contenitore di unguenti o di sostanze di una certa densità, come si può notare dalla forma del collo, allungata e stretta, per permettere la fuoriuscita graduale dei liquidi oleosi. L’esemplare di Pietragalla rileva tutta la sua eleganza nella splendida decorazione che si estende, in combinazione con sottili incisioni, anche sul fondo. Alla stessa produzione ceramica appartengono due olle biansate destinate alla conservazione dei liquidi, a cui si associa un piccolo boccale decorato a bande, un recipiente dotato di un lungo manico per poter attingere dall’interno delle suddette olle. Ad esse si può associare, un piccolo boccale decorato a bande. Al primo quarto del V secolo appartengono anche alcune coppe e Kylikes a vernice nera che rappresentano i vasi da vino per eccellenza. A differenza della ceramica sub geometrica di produzione locale, si tratta in questi casi di materiali importati dalle colonie magno greche dell’arco ionico e, in attesa di indagini future, essi costituiscono anche le uniche e le prime testimonianze della graduale penetrazione della cultura materiale greca al’interno dell’insediamento indigeno di Monte Torretta. Nell’ambito domestico si segnalano dei pesi da telaio che venivano utilizzati per la tessitura, realizzata grazie all’utilizzo di telai in legno e di pesi in argilla, necessari per mantenere in tensione i fili dell’ordito. La presenza in qualche caso di elementi decorativi incisi, potrebbe essere riferita al punto del tessuto in cui tale motivo doveva essere inserito.
Nel 1956 si assiste a un nuovo ritrovamento, un tripode in bronzo decorato ed unico nel suo genere, rinvenuto da un abitante del posto sul monte Solario, ubicato a 1,7 km a Sud Est di monte Torretta. L’oggetto è composto da una base a tre piedi e una colonnina sormontata da una sorta di capitello;un piccolo gallo abbraccia con le ali il fusto. Colpiscono i tre piedi come zampe feline a loro volta impostate su tre zoccoli. I tre piedi presentano una decorazione ad occhi di dado che ritorna anche nel punto di raccordo dei piedi con la colonna, laddove è possibile ammirare una palmetta stilizzata capovolta. Al di sopra dei treppiedi si sviluppa un fusto realizzato a guisa di colonna scanalata e sormontato da una sorta di capitello dorico. Al di sopra di quest’ultimo doveva trovarsi in origine un piccolo contenitore per le essenze destinate a essere bruciate. Questo sostegno possiede una caratteristica singolare: è possibile osservare ancora oggi, in ottimo stato di conservazione, un piccolo galletto con la testa rivolta a sinistra e che abbraccia con le sue ali un fusto scanalato. Il gallo non era fissato al fusto ma libero di scorrere lungo esso. Questo oggetto è stato variamente interpretato: dopo la proposta iniziale di Ranaldi per il quale si sarebbe trattato di un candelabro, M- Sestrieri Bertarelli (autrice dell’unica guida del Museo provinciale di Potenza negli anni 60) ha suggerito di identificarlo come Kottabos, ovvero come parte di un oggetto legato ad una pratica ludica tipica dei simposi. In realtà anche questa ipotesi è probabilmente da scartare, mentre si tratta di un thymiaterion ossia un bruciaprofumi. Il thymiaterion risalirebbe tra il III e il II secolo a.C. E’ quasi sicuramente in ambito etrusco che va ricercato il centro di produzione del manufatto e la sua presenza a Pietragalla dimostra la centralità del sito lucano nella rete di commerci italica e più in generale nel Mediterraneo. Trattandosi di un oggetto funerario di pregio farebbe pensare ad una necropoli proprio sul monte Solario dove l’oggetto è stato rinvenuto.
La presenza di un insediamento stabile può essere ricostruita in modo sicuro a partire dalla fine del VII secolo a.C. Le testimonianze provengono dal mondo funerario. Si tratta di preziosi oggetti di ornamento indossati dal defunto nonché di ceramiche riccamente decorate deposte acanto al suo corpo. Da una sepoltura femminile databile VII secolo a.C. proviene una collana di vaghi d’ambra, dove l’esoticità del materiale proveniente dai lontani balcani, esalta l’elevato status sociale della defunta. Della parure devono aver fatto parte anche due elementi decorativi per le vesti in bronzo, nonché un piccolo cavallo bronzeo, animale dalla forte valenza simbolica, sospeso a una grande fibula o alla cintura della defunta. Da ulteriori sepolture femminili devono provenire due pendagli in bronzo, della fine del VII – VI secolo a.C. Il primo esemplare rappresenta la schematizzazione del motivo del disco solare, qui trasformato nell’occhiello di sospensione, trasportato su di una barca da due protomi a testa di uccello, divenute, nel nostro esemplare, delle semplici appendici rettangolari ai lati della piastra.
Un ristretto gruppo di reperti in terracotta, metallo e vetro rinvenuti da Ranaldi mostra con estrema vividezza l’importanza e l’elevato livello tecnico e tecnologico di Monte Torretta. Già l’elegante tecnica costruttiva dell’articolato sistema di fortificazione che presenta soluzioni architettoniche ancora in corso d’esame da parte degli specialisti e la peculiare lavorazione dei blocchi in pietra rivelano una comprovata abilità da parte dei soggetti responsabili di questa articolata opera di difesa. Del resto le lettere dell’alfabeto greco incise su numerosi blocchi delle mura potrebbero essere interpretate come marchi degli scalpellini e indiziare l’esistenza di più botteghe impegnate sul cantiere. Non è chiaro se proprio al sistema di fortificazione vada riferita la solida grappa in piombo ad “S” con rinforzo centrale rinvenuta da Ranaldi. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non si può nemmeno escludere che essa provenga da un ulteriore corpo di fabbrica non altrimenti noto ma certo di carattere monumentale se si tiene conto delle notevoli dimensioni della grappa in questione. In effetti delle strutture presenti all’interno dell’area ignoriamo tutto o quasi. Una testimonianza speciale è due frammenti che probabilmente appartengono al medesimo esemplare di tegola “opaia”: si tratta di una tegola camino che, in questo caso, può essere ricostruita con un’apertura a forma di “8“ per la fuoriuscita del fumo e del vapore in un ambiente che doveva essere provvisto di focolare. Reastando al livello delle coperture, un manufatto ancor più straordinario, dal punto di vista tecnico e artistico, è costituito da un acroterio, ovvero una maschera in terracotta destinata a decorare la sommità del tetto, all’altezza della trave di colmo. CI sfugge anche l’identità del personaggio raffigurato, che si può identificare solo vagamente con il volto di Medusa. Per la resa stilistica, con le ciocche dei capelli che ricordano quasi i rami di un albero è chiaro xomunque che si tratta dell’opera dell’opera originalissima e senza confronti di un artigianato locale. Il manufatto è per certi versi straordinario in quanto esso combinava, secondo una soluzione tecnica non attestata altrove, la terracotta con l’uso del metallo:lo si capisce osservando l’incasso presente all’altezza della fronte e che doveva ospitare probabilmente un copricapo bronzeo, fissato alla terracotta per mezzo di un chiodo, del quale oggi resta solo il foro. L’acroterio è stato rinvenuto all’interno delle mura, si presume che esso sia appartenuto alla decorazione di un edificio di carattere pubblico. VI sono 31 chiodi in ferro di ottima fattura, con testa piatta quadrata e gamba a sezione quadrangolare ripiegato ad angolo retto in due punti distinti. Sconosciuto il luogo di rinvenimento, quel che colpisce in modo particolare è la presenza su alcuni esemplari di una patina rossastra apparsa a seguito delle recentissime operazioni di pulizia e restauro. Se, come sembra, si trattasse di un pigmento rosso, significherebbe che alcuni chiodi sono stati volutamente colorati e dunque conficcati solo parzialmente all’interno della struttura di cui facevano parte. Quanto a quest’ultima, si potrebbe pensare al telaio di una porta ma al momento si tratta di una semplice ipotesi. La presenza di un numero così elevato di reperti in ferro è indizio di una significativa attività metallurgica nell’area, che d’altra parte è stata suggerita anche da indagini geomagnetiche condotte subito a Sud-Est dell’insediamento negli anni 90 per conto della Soprintendenza archeologica della Basilicata. Infine che la lavorazione della terracotta e dei metalli non fossero le attività esclusive degli artigiani di Monte Torretta è testimoniato dal rinvenimento di una scoria vetrosa che indizia una produzione di oggetti in pasta vitrea, uno dei quali effettivamente rinvenuto e molto probabilmente realizzato proprio in loco.
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Video documentario sull’insediamento di Monte Torretta
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Come raggiungere l’itinerario
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