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Chiesa di Santa Maria degli Armeni – Forenza

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S. Maria dè Armeniis
Un’altra piccola chiesa ma dal grande fascino presente nel territorio di Forenza.


Note storiche

La più antica attestazione documentaria della chiesa risale al 1196 momento in cui fu venduta una piccola vigna nei pressi della chiesa di Santa Maria dè Armeniis. A questa data erano annesse una vigna a nord della chiesa, un orto a est di questa e un piccolo appezzamento di terra.
La pertinenza era privata e concessa al giudice Demetrio che ne sarà “gubernator” fino al 1219, ovvero quando fu concessa al Monastero di Montevergine.
Solo a partire dal 1288 è documentata l’esistenza di un priorato inizialmente amministrato da un laico oblato, poi, a partire dal 1306, dal monaco di Montevergine Giovanni dè Murra.
La chiesa ebbe una consistente dote patrimoniale grazie alle donazioni costanti che proseguirono fino al 1594.
Successivamente per difficoltà economiche, la chiesa venne soppressa nel XVII secolo.

Il complesso architettonico
L’attuale chiesa è il risultato di numerose fasi edilizie che hanno interessato l’edificio dala fondazione al suo abbandono.
Non potendo ricollegare l’origine della chiesa alla presenza armena in Italia meridionale, l’edificio, attualmente, non ha rivelato tracce di questa fase costruttiva.
Nell’impianto attuale si riconoscono tre diversi momenti edilizi, leggibili nei tre corpi di fabbrica.
Originariamente l’ingresso era a ovest, probabilmente in corrispondenza dell’arco d’accesso all’attuale zona dell’altare e l’abside a est, come consueto nelle chiese medioevali.
A est, infatti, le indagini archeologiche hanno messo in luce una grande abside centrale a calotta, destinata all’altare, e due laterali, più piccole, costruite con diverse tecniche edilizie, forse pertinenti a due diversi momenti costruttivi connessi a ristrutturazioni antiche.
Di queste opere di manutenzione non è stato possibile definire esattamente la cronologia a causa del rimescolamento delle stratigrafie superficiali.
Basandosi su quanto emerso e quanto ancora visibile in alzato la chiesa era scandita da tre navate, da una piccola aula, una zona presbiteriale piuttosto ampia con il tipico rialzo del calpestio e un grande arco di fondo del quale si conservano le sole imposte che introduceva l’abside maggiore a calotta e due più piccole laterali.
In questa zona della chiesa, inoltre, è stato possibile identificare parte di un dipinto che certamente interessava l’intera parete presbiteriale.
Accanto alla chiesa è emerso un piccolo vano, con funzione incerta, dimesso poco dopo la sua costruzione come dimostra la presenza di un piccolo cimitero individuato durante l’indagine archeologica.
Si tratta, al momento, di 15 sepolture in fossa terragna prive di corredo; i corpi erano supini con sguardo volto a est, braccia conserte o ripiegate sul bacino e gambe distese parallele.
La vocazione cimiteriale dell’area è, però, antecedente a questa fase di XIV secolo, giacchè sono venute in luce sepolture più antiche, intaccate dalle fondazioni dei muri della chiesa del XIII secolo e quindi anteriori a essi.
Sebbene questa fase cimiteriale sia testimoniata da sole 5 tombe, essa sembra più vasta spingendosi ben oltre la stradina interpoderale.
Va infine considerata l’ipotesi dell’esistenza di un complesso sistema insediativo nell’area, ben più articolato di quanto è venuto in luce dalle indagini archeologiche effettuate finora.
Proprio al di sotto della suddetta strada, infatti, affiora il prosieguo del muro ortogonale alla parete di fondo, indicando la presenza di ulteriori ambienti.
Inoltre, un muretto, posto a nord della chiesa, sembra identificare una struttura forse interpretabile come il piccolo monastero dove, al momento dell’istituzione del priorato, si svolgeva la vita comunitaria dei monaci.


Nell’area presbiteriale della chiesa è stato identificato e messo in luce un piccolo tratto di un dipinto che certamente interessava l’intera parete.
Celato sotto due spessi strati di intonaco, testimoni delle diverse fasi d’uso dell’impianto cultuale, esso fu realizzato sull’intonaco secco.
Pertanto si tratta di una pittura parietale e non di un affresco che al contrario si eseguiva, per l’appunto, sull’intonaco fresco.
Sebbene conservata solo parzialmente, la pittura rivela tutto il suo interesse per i particolari che la contraddistinguono, propri dell’arte della pittura miniata medievale, ma al momento non è possibile aggiungere altro.
Sono in corso studi, da parte di un’équipe di specialisti, per approfondirne la conoscenza, definire gli ambiti culturali e la cronologia attestabile al XIII secolo.
Sul dipinto è stato effettuato un accurato lavoro di ripulitura e consolidamento.
Le operazioni di pulitura sono state di tipo meccanico (con bisturi) per l’asportazione di porzioni di intonaco bianco che occultavano la superficie più antica, e chimiche per l’eliminazione di una pellicola biancastra aderente che si era formata sulla pittura.
A conclusione le operazioni di consolidamento e protezione hanno permesso di restituire alla pittura i suoi brillanti colori originari e di leggere il cartone figurato.
La raffigurazione comprendeva una Madonna in trono, posta in posizione centrale, colta nell’attimo dell’incoronazione; un santo monaco di dimensioni maggiori rispetto alla Vergine, che mostra la scena indicandola con il dito indice, e un secondo santo monaco, altrettanto grande e non meglio descrivibile.
Infine lo sfondo si completa con un quadretto narrante, alla sinistra della Vergine, con una figura femminile dai capelli raccolti e lunga veste mentre sullo sfondo si riconosce un paesaggio urbano.

Ph. Giuseppe Cillis

Fotogallery

Ph. Enrico Brienza